Hikikomori: una moderna solitudine

hikkikomori

Sempre più ragazzi decidono di abbandonare la vita sociale e scolare per ritirarsi in un totale isolamento: sono gli hikkikomori. Quali sono le cause? Ma soprattutto, come uscirne?

Non si può negare il fascino magnetico dell’estremo oriente. Primus inter pares troviamo il Giappone, che con i suoi fiori di ciliegio e le porte Torii attrae ogni anno circa 30 milioni di turisti. Tuttavia, dietro colorate insegne luminose e sgargianti kimono, possiamo trovare gli effetti collaterali di quella che è la quarta economia mondiale (al seguito di Cina, USA e India).

Emblematica è l’enorme pressione in campo lavorativo, che porta ogni anno i giapponesi a usufruire solo di 10 giorni di ferie (metà di quelli messi a loro disposizione). Tra i sintomi della maniacale spinta sociale verso il successo, o meglio della volontà di sfuggirle, troviamo il fenomeno degli Hikikomori.

引きこもり

Letteralmente “stare in disparte” (dalle parole hiku “tirare” e komoru “ritirarsi”), il termine si riferisce alla decisione di abbandonare la vita sociale a favore di un totale isolamento. Gli Hikikomori (termine coniato dallo psichiatra giapponese Tamaki Saitō) si rifiutano di avere qualsiasi tipo di contatto con amici e parenti recludendosi nella propria cameretta.

I primi casi furono descritti già nel 1978. I soggetti sono solitamente ragazzi maschi primogeniti tra i 19 e i 30 anni, di estrazione sociale medio-alta. Tuttavia troviamo anche un 10% di soggetti femminili, numero sicuramente sottostimato data la percezione giapponese del ritiro in casa delle donne come consuetudine.

Oggi sono più di mezzo milione i ragazzi giapponesi affetti da questa vera e propria patologia. Per questo motivo il governo giapponese ha individuato alcuni criteri per diagnosticarla con esattezza:

  • il ritiro deve durare più di sei mesi;
  • ci dev’essere un rifiuto scolastico/lavorativo;
  • non devono esserci patologie psichiatriche rilevanti pregresse come schizofrenia o ritardo mentale;
  • non sono considerati i soggetti che continuano a mantenere relazioni sociali.

Ma quali sono i sintomi? Il dottor Saitō individuò tra gli altri: ritiro sociale/scolastico, antropofobia (paura delle persone), automisofobia (paura di sporcarsi), agorafobia (paura di spazi ampi e affollati), manie di persecuzione, sintomi ossessivo-compulsivi, apatia, letargia, umore depresso, pensieri di morte e tentato suicidio, inversione del ritmo circadiano di sonno veglia e comportamento violento contro la famiglia (in particolare verso la madre).

Patogenesi: perché si diventa Hikikomori

Le cause che spingono sempre più ragazzi a prendere una simile decisione sono riconducibili sia a fattori familiari che sociali:

  • AMAE – Il termine giapponese amae si riferisce alla dipendenza di un figlio dalla madre. Elemento ricorrente nei rapporti familiari in Giappone è una personalità materna molto vicina ai figli (psicologicamente e fisicamente) ed una paterna più marginale. Nelle dinamiche famigliari degli Hikikomori, si può vedere spesso una madre iperprotettiva, che instaura un legame simbiotico con il figlio, il quale spesso si comporta violentemente nei suoi confronti.
  • IJIME – Il bullismo giapponese, ijime (letteralmente tormentare), è di stampo più psichico che fisico (a differenza di quanto avvenga in occidente). Caratteristica principale è un ostentato disinteresse dell’intera classe (in qualche caso anche degli insegnanti), la quale tratta la vittima come se non esistesse. L’ijime viene percepito dai bullizzati come simbolo del fallimento sociale e marchio d’infamia.
  • FUTUOKOFutouko, la sindrome del rifiuto scolastico, è spesso il primo stadio del ritiro. Riconosciuta anche dal Ministero dell’Educazione Giapponese, la sindrome del rifiuto scolastico, è dovuta soprattutto alla struttura del sistema scolastico stesso. Soprannominato shinken jigoku (inferno degli esami), è basato esclusivamente sulla preparazione per gli esami d’ammissione all’università. In caso di fallimento non c’è una seconda possibilità. Tale pressione accademica può portare a intraprendere la via degli Hikikomori, rendendo difficile il rientro nella società date le difficoltà di reinserimento.

Hikikomori Italia

Il fenomeno degli Hikikomori purtroppo non è un’esclusiva Giapponese. Non solo dilaga in tutto l’estremo oriente ma sempre più casi sono posti sotto l’occhio occidentale, anche in Italia. A testimoniare la rilevanza che questa patologia sta assumendo nello stivale troviamo l’associazione Hikikomori Italia Genitori, fondata da Marco Crepaldi nel 2017, già autore del blog Hikikomori Italia dal 2012.

Il principale obiettivo dell’associazione è quello di informare e sensibilizzare, con lo scopo di capire il fenomeno senza stigmatizzarlo. Inoltre, Hikikomori Italia cerca di fornire ai ragazzi e ai genitori la possibilità di potersi confrontare attraverso spazi online o in presenza.

Le stime dei casi italiani sono difficili da realizzare data la relativa novità della patologia. Tuttavia esistono già delle prime statistiche che individuano i soggetti maschili come l’87,85% del totale, una prima manifestazione della patologia attorno ai 15 anni e un ritiro della durata maggiore ai 3 anni nella maggior parte dei casi.

Hikkikomori Italia
Il fondatore Marco Crepaldi alla presentazione dell’associazione, tratto da velvetmag

Esiste una cura?

Una vera e propria cura non esiste. Da un punto di vista clinico, la patologia degli Hikikomori viene trattata come qualsiasi altra condizione psichiatrica: psicoterapia e psicofarmacologia. Fin’ora sono stati impiegati antidepressivi, anche se la loro efficacia risulta essere scarsa. Più utile sembra essere invece la psicoterapia, specialmente quella di gruppo con la presenza di familiari.

Un problema rilevante è costituito dall’atteggiamento degli Hikikomori stessi: molti credono che la loro condizione non sia un problema e fuggono da qualsiasi forma d’aiuto.

Marco Crepaldi fornisce tre consigli principali ai genitori che vogliono aiutare i propri figli ad uscire dall’isolamento:

  1. aiutare il figlio a trovare la propria strada, non imporgliene una;
  2. aiutare senza sostituirsi nelle azioni;
  3. ricordarsi di continuare a vivere la propria vita.

Un soluzione potrebbe essere rappresentata dall’intervento su una delle sorgenti del problema: la scuola. Una volta abbandonata infatti, diventa più difficile re-includersi nel quadro sociale, aggravando la condizione.

Sempre Marco Crepaldi, alla luce dell’esperienza in campo, propone una riforma della scuola in cinque punti, che dovrebbe porre rimedio al costante ampliamento della corrente di assenteisti scolastici. Si nota infatti, in concomitanza, un aumento di casi di Hikikomori. Punti fondamentali di questa riforma sono l’eliminazione dei voti e la riduzione della standardizzazione. Quest’ultima non permette agli studenti di costruire il proprio percorso attorno all’individuale personalità e capacità.

Si torna così a uno dei tasti dolenti della penisola appenninica: il sistema educativo. Ma la cura di quest’ultimo rientra in un altro paio di maniche.

Immagine di copertina: photo by Soragrit Wongsa on Unsplash

avatar

Ciò che sappiamo è solo una goccia, ciò che ignoriamo è un oceano. - Isaac Newton

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.