Il padiglione d’oro del tempio Kinkakuji

Il padiglione d'oro del tempio Kinkakuji

Visita virtuale al padiglione d’oro di Kyoto, tempio zen tra i più affascinanti del Giappone, tanto da ispirare il famoso scrittore Yukio Mishima.

Storia

Il tempio del padiglione d’oro, traduzione del nome giapponese Kinkakuji, vede le sue origini nel pieno del medioevo giapponese, quando il governo militare dei samurai era caratterizzato da diffuse guerre civili. In parallelo, questi soldati, dalla rigida disciplina fisica e mentale, svilupparono un’estetica raffinata che fiorirà in tutti i campi della cultura: letteratura, arte e architettura. Proprio quest’ultima, con giardini, templi e padiglioni, è la più chiara testimonianza del passato, visibile semplicemente passeggiando in città storiche come Kyoto.

Retro del padiglione d'oro
Retro del padiglione d’oro. Foto da Wikimedia Commons.

La città, già capitale imperiale, fu anche centro del potere militare per un paio di secoli. Durante il periodo Muromachi (1392-1573), dal nome di una zona di Kyoto dove risiedevano i comandanti militari, un intenso fermento culturale produrrà alcuni tra i templi più famosi del Giappone. Il buddhismo zen, fortemente apprezzato dai samurai, sarà il catalizzatore di queste opere, essenziali e dalle strutture leggere, che fanno del “vuoto” il loro pilastro portante. 

La struttura

Il Kinkakuji fu costruito nel 1397 per volere dello shogun Ashikaga Yoshimitsu, capace di unire forza militare e raffinatezza culturale. Il complesso monastico deve il suo nome alla struttura centrale, residenza privata dello shogun: circondato dal verde, quasi facesse parte del paesaggio, si affaccia su un lago un padiglione ricoperto in foglia oro. L’edificio, con uno stile di derivazione cinese, mostra tratti tipicamente giapponesi, come la leggerezza delle strutture e la compenetrazione tra spazi interni e giardino.

La fenice del padiglione d'oro
La fenice del padiglione svetta tra i pini, altro simbolo di longevità. Foto di ilfumattiapasotti.

Il patio al pian terreno, parzialmente aperto verso il lago, era luogo di incontri e cerimonie. Gli spazi vuoti dei terrazzini e dei porticati conferiscono leggerezza a una struttura compatta, apparentemente massiccia per l’aspetto metallico conferitole dall’oro. Sul tetto, una fenice dorata preannuncia il destino del tempio: bruciò due volte durante il XV secolo e ancora una volta nel 1950, episodio che ispirò lo scrittore Yukio Mishima per il romanzo Il padiglione d’oro. Come la fenice, risorse sempre dalle sue ceneri e fu ricostruito con il suo aspetto originario.

Yukio Mishima

L’episodio del 2 luglio 1950 è fedelmente riportato nel romanzo di MishimaUn monaco diede fuoco al padiglione con l’intento di un doppio suicidio: il suo e quello del tempio stesso. Una volta appiccato l’incendio, rinunciò al proprio intento e fuggì. Tra le motivazioni, sembra vi fosse dell’astio con il superiore del tempio, una sorta di odio nei confronti dei visitatori, o più semplicemente una qualche forma di infermità mentale poi diagnosticatagli.

Il padiglione d’oro durante una nevicata
Il padiglione d’oro durante una nevicata. Foto da Wikimedia Commons.

Al di là della trama, Mishima fa di questo romanzo il proprio manifesto ideologico, promotore di un nichilismo attivo. L’ossimoro della distruzione in uno slancio di vitalità, l’annullamento per dare libero sfogo alla volontà di potenza e di nuovi valori. La vera bellezza si trova in ciò che non si può raggiungere e il monaco protagonista ne vede un esempio nel padiglione d’oro. All’apice della sua bellezza proprio mentre brucia, acquisisce maggior valore per il fatto che non esisterà più. Sopravvissuto alla guerra, è come un samurai che non è morto in battaglia. Sarà l’incendio a conferirgli una fine eroica.

Mi sentivo come chi, ultimato un lavoro, si siede a tirare una meritata boccata di fumo. Volevo vivere.

Yukio Mishima, Il padiglione d’oro.

Leggi anche: Beyond the lyrics: La morte (non esiste più), potenza e profondità della musica dei Baustelle.

(Copertina di ilfumattiapasotti)

avatar

Antropologo nipponista. Fotografo mancato. Docente a tempo perso. Affascinato da ogni forma di alterità, offro il mio piccolo contributo per portare lo “studio dell’uomo” sullo schermo di tutti.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.