È possibile una vita senza ricordi?

Tra scienza e filosofia, dentro l’eternità dei ricordi.

 A quanti di voi, non è mai capitato di emozionarsi, riguardando vecchi album fotografici?

A quanti, non è mai scappato un sorriso malinconico, riguardando souvenir di viaggi passati?

Chi non ha mai provato un profondo interesse, nell’ascoltare un racconto di una persona più anziana?

Il bisogno di ricordare è infondo radicato nell’ animo umano da sempre: la pittura, la fotografia, il cinema, sono tutte arti nate al fine di rendere eterne immagini di vite passate. Sarebbe, d’altronde, inimmaginabile una vita senza ricordi: un susseguirsi continuo di giornate, senza una netta separazione fra un ieri e un oggi, tra passato e futuro.

Fin dai primi anni dell’infanzia, ogni bambino incomincia a maturare i primi ricordi, che non sono altro che dei piccoli mattoncini, che piano piano, con l’inevitabile passare degli anni, andranno a comporre la completa  conoscenza di se e del mondo che lo circonda. La voglia di ricordare, infatti, risponde a quella che è un desiderio di essere immortali tramite il ricordo: basta semplicemente fare un giro attorno alle nostre città, per leggere di vie, palazzi, piazze, intitolate a personaggi celebri oggi non più in vita.

Ecco che il ricordo, rappresenta quel filo sottile, che ci unisce a chi ci ha preceduto, dando valore non solo alla nostra coscienza di individuo, ma di collettività.

Memoria tra filosofia e letteratura

Il primo filosofo a parlare di memoria come conoscenza fu Platone, nel quarto IV secolo a.C. Per lui, tutto ciò che l’uomo apprende, non è conoscenza ex novo, proprio perché conoscere è ricordare. Apprendere per l’uomo significa infatti , ricordare esperienze già vissute precedentemente, ma che aveva soltanto dimenticato nel proprio cassetto della memoria. Secondo il filosofo greco, la nostra anima, ancor prima di incarnarsi nel nostro corpo mortale, ha vissuto nell’ Iperuranio, lì dove risiedono tutte le idee perfette, immutabili.

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In questo “luogo sopra il cosmo”, l’uomo ha osservato, contemplato e fatto proprie queste idee. Dopo la nascita, perdiamo memoria della nostra vita nell’Iperuranio, ma quando entriamo in contatto, con ciò che abbiamo già visto nella vita precedente, ecco riemergere, da dentro di noi, il loro ricordo.

Vivere nel ricordo è il modo più compiuto di vita che si possa immaginare; il ricordo sazia più di tutta la realtà, e ha una certezza che nessuna realtà possiede. Un fatto della vita che sia ricordato, è già entrato nell’eternità, e non ha più alcun interesse temporale.

Così spiegava, circa due secoli fa, Soren Kierkegaard nell’opera “In Vino veritas”. Il filosofo danese, all’ interno dell’opera, rimarcava la differenza tra ricordo e memoria, prendendo ad esempio un anziano e un fanciullo: un anziano col tempo, potrà anche perdere la possibilità di immagazzinare dati recenti, ma gli resterà qualcosa di più profondo, i ricordi, che gli permetteranno di rivivere a spezzoni la propria vita. Un fanciullo, invece, avrà anche una memoria molto più grande, ma avendo vissuto di meno, avrà maturato molta meno esperienza, e quindi meno ricordi.

Il ruolo dell’amigdala e dell’ippocampo

Le neuroscienze hanno studiato come le nostre sensazioni e percezioni riescano in qualche modo ad influenzare la nostra memoria. Questo compito è svolto dall’amigdala, una piccola struttura a forma di mandorla, responsabile della parte istintiva del nostro cervello, e l’ippocampo, struttura encefalica responsabile della conservazione dei nostri ricordi

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Le tappe fondamentali della nostra vita, cariche di profondo significato, come un primo appuntamento, il giorno del matrimonio, la nascita di un figlio, ci portano a essere in uno stato scientificamente definito “impressionabile”. È qui che entra in gioco l’amigdala, che rilasciando alcuni ormoni, ci pone in uno stato definito “attacco o fuggi”, innescando tutta una serie di reazioni del nostro organismo. La funzione dell’amigdala, è quella di essere infatti il giudice delle nostre sensazioni, misurando la valenza emotiva di ogni evento, e indicando all’ippocampo, quali ricordi vale la pena conservare e quali no.

Differenze tra memoria e ricordi

Nell’immaginario comune, sembrerebbe che il nostro cervello si comporti semplicemente come un computer, intento a immagazzinare dati in modo oggettivo. Non sorprende, tuttavia, come la nostra memoria sia emozionale, quindi influenzata da percezioni ed emozioni prodotti da stimoli intensi e forti. Quindi è inevitabile, sebbene essa sia molto ampia, che tenda con gli anni ad archiviare parte delle nostre esperienze, lasciando intatto solo il ricordo di quegli eventi o persone dense di significato.

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Innumerevoli, infatti, sole le persone che incontriamo, le giornate e le esperienze che viviamo, ma poche sono quelle che restano saldate dentro di noi.

In un’intervista, circa un secolo fa, chiesero ad Albert Einstein, probabilmente il fisico più famoso della storia, che cosa faceva quando aveva un’idea nuova. Per esempio, se l’annotasse in un foglio o in un quaderno speciale. Lo scienziato rispose chiaro e tondo: “Quando ho un’idea nuova importante, non la dimentico”. D’altronde, chi non si è mai chiesto per quale motivo memorizziamo perfettamente e in poco tempo, tutto il testo delle canzoni del nostro cantante preferito, ma fatichiamo terribilmente a memorizzare poche pagine della materia che più odiamo?

Nulla di più vero, quando qualcosa ci emoziona tanto, è quasi impossibile dimenticarlo.

L’eternità dei ricordi

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La vita di ogni essere umano, dunque, è influenzata dal ricordo e dalla memoria. Ma se quest’ultima è legata più a una sfera intellettiva, il ricordo, termine che deriva dal latino re-cordor cioè richiamare al cuore, è legato più al campo dei sentimenti che a quello della ragione.

Se alla fine, la vita non è altro che un viaggio, di questa possiamo conservarne una traccia, un dono che possiamo lasciare a qualcuno. Ecco, allora, come i ricordi non siano altro che i nostri souvenir, termine francese che sta per sopravvenire, mantenere qualcosa.

Perché alla fine, ciò che resta di eterno di questo viaggio, è solo il ricordo che ne custodiamo e il ricordo che lasciamo agli altri.

In copertina: Foto di Leah Kelley

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Studente d'Ingegneria, amante del mondo, della bellezza, dei numeri. La scrittura mi permette di unire la cultura umanistica con la scienza, due mondi apparentemente distanti ma in verità complementari, indispensabili l'uno per l'altro. Cerco di vivere la mia vita alla costante ricerca di un'incognita “x", in grado di dare una risposta a tutte le mie domande. Come scriveva Montale “sotto l’azzurro fitto del cielo qualche uccello di mare se ne va; né sosta mai, perché tutte le immagini portano scritto: più in là”!

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