A te, che lavori troppo

“Lavori per comprarti una macchina per andare a lavoro”

Giulia aveva scommesso che non avresti partecipato alla videochiamata. Io ho insistito ad aspettarti per una ventina di minuti, lei ha sbuffato e ci siamo accordate per dieci. Le ho detto che lavori e m’ha risposto che lo sa fin troppo bene.
Sai, da quando non possiamo vederci in presenza ci siamo inventate questi aperitivi su Skype. È quasi divertente, tranne quando Federica brinda sulla webcam mentre si ingozza di salatini, una scena tremenda.

Credits: Chris Montgomery on Unsplash

Ci manchi, Elena. A me specialmente. E non solo perché una tua improvvisa comparsa a uno qualsiasi dei nostri appuntamenti del venerdì mi solleverebbe dall’imbarazzo di dover giustificare la tua assenza e spolverare la teca del tuo ricordo nella speranza che le altre non inizino, come ha già fatto Giulia, a borbottare.

Né tantomeno mi manchi per fare della tua amicizia un orpello del mio ego, come se il fastidio per la tua distanza fosse una mera questione di orgoglio. No, a me manca essere tua amica, sapere davvero come stai.

“Bene, stanca”.

Credits: Kenrick Mills on Unsplash

Cos’è per te il bene, come si coniuga nella diversità dei tuoi giorni? Di che colore sarebbero se li definissi cromaticamente? Che ti passa per la testa, Ele? E perché non vuoi condividerlo con nessuno?

Così mi ritrovo sempre a ballare il valzer dell’invadenza: ci sono giorni in cui vorrei scriverti ma non lo faccio perché temo di disturbarti, altri in cui archivio questo pensiero e, ricevendo un tuo silenzio o una tua breve e ritardataria risposta, mi pento di averlo fatto, perché scopro di aver invaso uno spazio che ormai riservi unicamente al tuo lavoro.

Da quando la Straight ti ha assunto a pieno regime lavori da mattina a sera e senza sosta. I primi tempi ne eri felice, dicevi che non ti pesava neanche, e ti credevamo, perché hai fatto dei sacrifici immensi per avere quel posto. Temo adesso però che quella felicità non si sia rinnovata nel tempo, che nel mantenere accesa la sacra fiamma della produttività capitalistica tu ne abbia spenta una ancor più preziosa: quella che si trova nei tuoi occhi.

Credits: Nong Vang on Unsplash

Mi è impossibile parlarti di queste cose perché scatti sulla difensiva (ecco un altro indesiderato casqué nel valzer dell’invadenza), ti sembra che si stia sminuendo l’importanza di quello a cui lavori. Senti di dover provare verso il tuo mestiere un innato senso di gratitudine, anche se esso non lo ricambia. Anche se certe volte – e non sono poche – sembra che ti prenda insistentemente a schiaffi e che faccia razzia del tuo tempo libero e della tua personalità. Che t’imponga, come sotto un silenzioso ricatto, di non lamentartene neanche, perché lagnarsi è roba da mediocri, e non c’è nulla che si tema più della mediocrità, lì dove lavori tu.

Ci sono giorni in cui il solo svegliarti ti pare un’impresa titanica. Ti chiedi che senso abbia, e in risposta hai solo qualche strillo di rondine che volteggia sul tuo tetto alle sei di mattina. E a onor del vero ci sono anche giorni meravigliosi, certo, giorni in cui quella voce nella tua testa che ti chiede il perché del tuo perenne sopportare viene zittita dalla giusta dose di caffeina. Magari il tuo capo ti ringrazia, ti fa un mezzo sorriso. O per una volta qualcosa in produzione viene come dovrebbe.

Credits: Tarik Haiga on Unsplash

Così ti dimentichi delle tue umane necessità e rimandi ancora una volta il giorno in cui guarderai la tua anima allo specchio. Ti ordini una pizza, molli sul comodino il cellulare pieno di messaggi che leggerai un’altra volta, crolli dal sonno tra le tue lenzuola cambiate la domenica mattina (perché la vita domestica s’accumula tutta la domenica, e si prende quella fettina rimanente del tuo spazio privato, lasciandotene solo delle invisibili briciole).

L’indomani tra gli strilli di rondini apri il mio messaggio. Un po’ ti compiaci della mia insistente amicizia, un po’ ti ferisce il non poterla ricambiare. “Bene, stanca”.

Vorrei poterti portare fuori. Mi spiace non poterlo fare per ragioni logistiche, ma soprattutto non riuscirci perché sei troppo “dentro”, e chissà come strabuzzeresti gli occhi accecata dalla banalità del nostro quotidiano. A vedere Federica che si rimpinza mentre urta l’orlo del bicchiere contro la fotocamera. Ti sembreremo un pugno di idiote, e lo siamo. Ma abbiamo anche noi i nostri lavori, sappiamo quello che provi, solo che abbiamo scelto di separarli dal resto, di non dare in pasto ore di troppo al demone del dovere.

Credits: Maeghan Smulders on Unsplash

Ti dirò una cosa cattiva e sgradita: nessuno, lì dentro, si prenderà cura di te.
La sommaria valutazione del tuo stato d’animo che fanno al mattino quando ti vedono prender posto in ufficio – Come stai, Ele? – è dovuta unicamente alla sua correlazione con la qualità del tuo operato. Non sia mai che ti prendessi un giorno di ferie.

E quando ti chiedono dell’altro lo fanno per inquadrarti, per capire chi hanno davanti, non per lo spassionato desiderio di decorare eventualmente di bellezza l’esistenza di un altro essere umano.
Ma tu questo lo sai, e infatti ti armi fino ai denti, corazzi il tuo cuore con chili di scotch da imballaggio, così tanto che si chiedono se ci sia realmente qualcosa sotto, e tu con loro.

Quello che voglio dirti è altro: nessuno, in quel branco di lupi, è interessato al tuo benessere, quindi toccherà a te farlo. Dovrai essere tu ad amarti, a portarti fuori, a chiederti come stai, ad ascoltarne le risposte. A prenderti il tuo tempo, perché non te ne daranno. A curare i tuoi interessi, ricordarti chi sei e cosa vuoi, coltivare l’orto delle tue speranze cercando di non farne appassire nessuna. Anche volersi bene è un lavoro, forse il più importante che ci tocca svolgere.

Credits: Kenrick Mills on Unsplash

Quando ti sarai innamorata di te stessa e accorta di ciò che sei, quando avrai compreso a fondo che il tuo valore di persona merita la stessa attenzione di quello di professionista, e quando finalmente si spezzeranno tutti i piccoli fili che trattengono le tue gambe dall’andare dove ti senti più libera e felice, ecco, quello sarà un bel giorno.

Lo ricorderemo come quello del crollo del muro di Berlino. Tutte le cose che ti rendono te scapperanno in sciami dalla barriera che hai costruito, e si mescoleranno col mondo, e si abbracceranno tra loro. Forse quel giorno sarai in grado di rispondere con maggiori dettagli, con più fantasia o forse solo con sincerità alla domanda che ti pongo anche ora:

come stai, Ele?


Leggi anche: Perché facciamo le cose che facciamo?


(Immagine di copertina: photo by Luis Villasmil on Unsplash)

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