Olimpiadi e diversità: un modello da tenere sotTokyo

Le Olimpiadi di Tokyo 2020 dimostrano particolare sensibilità in tema di differenze e inclusione. Può essere questo un modello per il futuro?

Inclusione e diversità: anche le Olimpiadi di Tokyo 2020, che si stanno svolgendo in questi giorni in Giappone, sono protagoniste del tema più dibattuto del momento.

I giochi saranno un’importante occasione per dare una sterzata decisiva in tema di inclusone e diversità di genere, etnia, religione e orientamento sessuale. A beneficiarne sarà il mondo intero e una grande varietà di pubblico. Ma soprattutto il Giappone, che ha pensato addirittura di instaurare un vero e proprio ufficio interno al comitato olimpico con compiti specifici di promozione e difesa di questi valori. Il responsabile, Yoshimura Mikiko, ha dichiarato che

“come Paese insulare, il Giappone non ha una grande varietà al suo interno. Per questo, i Giochi sono una buona opportunità per abbracciare questi principi. Vogliamo sfruttare quest’occasione per promuovere la diversità e l’inclusione all’interno del Paese. E l’esempio dovrà partire dalla stessa organizzazione”

Yoshimura Mikiko

Lo scivolone iniziale

In verità, la macchina organizzativa giapponese non aveva iniziato questa esperienza con il piede giusto in tema di diversità di genere. A febbraio, l’ex presidente del comitato olimpico giapponese Yoshiro Mori, già primo ministro e non nuovo a gaffe in pubblico, era stato protagonista di un’uscita infelice che di li a poco gli sarebbe costata il posto. L’ottantatreenne aveva affermato che le donne, mosse da un forte senso di rivalità, portano alle lunghe le riunioni perché parlano troppo. La battuta è arrivata in risposta alla proposta del Comitato di includere più donne nella sua amministrazione, passando dall’attuale 20% al 40% e aumentando l’attuale quota di 3 donne su 25 membri.

Mori fu costretto alle dimissioni nonostante le pubbliche scuse e il governo giapponese decise di affidare l’incarico proprio ad una donna. Seiko Hashimoto, ex atleta con tre partecipazioni ai giochi olimpici, è stata una scelta di competenza prima e di genere poi. Non sufficiente però a colmare le grandi lacune nella parità di genere del paese del Sol Levante, che molti analisti e attivisti giapponesi denunciano da tempo.

Il premier giapponese Shinzō Abe con la torcia olimpica e il presidente del Comitato Organizzatore Yoshirō Mori con quella paralimpica – From Wikipedia

Il gap di genere

Le difficoltà del Giappone in tema di gap di genere (in politica giapponese, per la Camera dei rappresentanti, solo il 17,8% delle donne si è candidata alle elezioni del 2017) sono in verità le difficoltà del mondo intero.

Ciascun paese infatti mostra criticità più o meno gravi nel livellamento delle disuguaglianze tra uomo e donna. Bisogna prendere decisioni politiche e sociali in favore della parità di genere con molta attenzione. Il rischio è quello di alimentare involontariamente il problema della disuguaglianza. Scelte sbagliate potrebbero alimentare pregiudizi e risentimenti portando ad una spirale da cui diventa sempre più complesso uscire.

In tema di inclusione di genere ogni scelta deve essere dettata dalla competenza e dal merito. In una società funzionante, questi insieme ad etica e senso civico dovrebbero essere gli unici criteri di valutazione in tema di opportunità. Un presupposto importante e decisivo, che va a scontrarsi con la società moderna, oggi maschilista, esclusiva, patriarcale e prevenuta.

Sono i Giochi Olimpici a fornirci un metodo di inclusione coerente, sereno e centrato sull’obiettivo finale, ovvero la parità di genere.

Sam Bayle from Unsplash

La scelta del doppio portabandiera

Una delle prime decisioni prese dal Comitato Olimpico giapponese è stata quella di introdurre il doppio portabandiera. Ogni nazione avrebbe dovuto rappresentare entrambi i sessi, un uomo e una donna: la prima volta alle Olimpiadi.

Olimpiadi Tokyo 2020 -From Instagram

Può apparire una decisione forzata e a tratti anche goffa, considerando la scarsa praticità di portare una grande bandiera in due. Lo stesso Jury Chechi ha affermato che simili scelte dovrebbero basarsi solo sul merito.

Tuttavia, tali decisioni non devono essere considerate singolarmente: in un disegno generale ogni singola pennellata contribuisce a creare un’opera d’arte. L’inclusione sociale è un progetto sistemico, in cui ogni iniziativa è coerente alle altre. Apprendiamo così dalle olimpiadi che il movimento per essere vincente deve essere armonico.

Una soluzione, due vie

Il mondo va veloce. In tutti i campi lo scorrere del tempo non ci permettere di fermarci e spiegare l’origine di alcuni fenomeni sociali. Né tantomeno viene speso del tempo per ragionare su tali fenomeni, capirne i meccanismi, gli errori e spianare la strada alla creazione di una soluzione.

Questo compito sta venendo meno perfino alle istituzioni che ne sono state depositarie nel corso dei decenni. In un ambiente dove fosse possibile fermarci a ragionare per tutto il tempo necessario, la logica sovvertirebbe la tendenza maschilista, smuovendo le coscienze dal profondo senza la necessità di imposizioni simboliche.

Olimpiadi Tokyo 2020 -From Instagram

Senza la necessità di una imposizione di due portabandiera di sesso differente, la società civile raggiungerebbe la libertà di decidere un solo portabandiera, di qualsiasi genere, in totale serenità senza che questa scelta pregiudichi l’altra categoria. Questo dovrebbe essere il punto di arrivo, dove la sostanza prevale sulla forma.

Abbiamo due vie quindi: una riguarda la forma e l’altra la sostanza. Gesti, segni e forma hanno un significato immediato. Da un punto di vista pragmatico, qualsiasi elemento utile a combattere la discriminazione va adottato per il bene supremo. Ma l’attenzione deve essere tutta sul programma politico e sociale, sulla sostanza.

In pratica, la forma diviene necessaria laddove la sostanza non ha tempo per attecchire. La domanda è: quanto a lungo dureranno gli effetti benefici di questa strategia?

Proprio in occasione delle Olimpiadi di Tokyo 2020 qualcuno grida all’ipocrisia del politicamente corretto. È questo il pericolo più grave che corriamo dando più importanza alla forma che alla sostanza?

Charles Deluvio from Unsplash

Le olimpiadi come modello sociale: diversificazione di genere

I giochi olimpici sono un modello di riferimento, forse il più alto. Con l’introduzione del comitato per la difesa delle diversità e la sostituzione del presidente Mori, il Giappone ha dimostrato di voler proseguire sulla strada della risoluzione del problema delle disuguaglianze di genere.

Con lo slogan Conosci le differenze, mostra le differenze, Tokyo 2020 ha messo al centro del progetto olimpico proprio il binomio diversità-inclusione, facendolo diventare il marchio di fabbrica di tutti i settori della macchina dei Giochi.

L’obiettivo dichiarato non è l’eliminazione delle differenze quanto più evidenziare la diversità come elemento fondante del cambiamento.

Olimpiadi Tokyo 2020 -From Instagram

Esempio di divisione inclusiva è la distinzione delle specialità maschili da quelle femminili. Questa decisione è supportata da studi eseguiti circa le risposte fisiologiche degli atleti che mostrano differenze dei corpi umani. Tempi di reazione, potenza e risposta ormonale sono alcuni dei criteri che rendono necessaria una distinzione per permettere una competizione onesta. Allo stato attuale solo una disciplina rimane mista per uomini e donne: l’equitazione.

A cambiare sono anche i criteri di valutazione. Ad esempio, mentre nella categoria maschile della ginnastica sono messe in risalto forza e coordinazione, in quella femminile sono evidenziate elasticità e leggerezza.

La serenità con cui vengono affrontati questi temi dovrebbe essere presa a modello nella vita.

Spesso affidiamo allo sport il compito di rappresentare i valori etici, morali e di comportamento. Le Olimpiadi, pur presentandosi al mondo ogni quattro anni, non perdono mai le proprietà educative in seno ad ogni singola disciplina. E il processo di continua evoluzione tiene la manifestazione costantemente al passo con i tempi dandoci importanti spunti di riflessione. Sta a noi imitare il più possibile e adattare i valori dello sport al modello sociale.

(Immagine di copertina a cura di Bryan Turner su Unsplash)

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Io sono Arnaldo Berardi. Sono nato a Bari il 7 Dicembre del 1989 di un piovoso giovedì d’inverno. Attualmente studente del corso di “Strategie per i mercati internazionali” presso la facoltà di Economica dell’Università di Bari “Aldo Moro”. Sono assetato di conoscenza e vivo la mia vita nella consapevolezza che la cultura sia l’unica via per l’evoluzione dell’anima. Il sogno da realizzare è quello di poter divulgare cultura che possa arrivare a chiunque in qualsiasi parte del globo, indistintamente.

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