Dopo la quarantena: usciamo di casa, ma non da noi stessi

In contrasto con la voglia di viaggiare alcuni luoghi rischiano di essere dimenticati, tra questi lo spazio personale creato per convivere con noi stessi.

Il team di Cogito et Volo ha scelto di dedicare il mese di agosto ad un tema speciale: il futuro post-Covid e soprattutto quei “luoghi” – fisici e non – che la pandemia rischia di rendere disabitati. È il nostro modo per ripartire: radicati nel passato, la mente fissa sul presente e lo sguardo rivolto al futuro. Per leggere tutti gli articoli dello speciale clicca qui.

Lo spazio dedicato alle considerazioni post-Covid è già stato tanto da subire l’effetto contrario e perdere quasi significato. Come una parola ripetuta ininterrottamente, ad alta voce, fino a diventare nient’altro che un suono estraniante senza un senso. La stessa consapevolezza della permanenza del virus, ancora attivo nel suo microcosmo, ha subito l’effetto di un’amnesia che ci ha riportati, chi più chi meno, alla quasi totale normalità, dimenticando in parte i mesi passati. Una normalità che ha portato molti a scoprire e riscoprire mete, soprattutto della nostra Italia, sconosciute fino a poco tempo prima, magari con una vacanza organizzata proprio durante il periodo di quarantena. Dal lato opposto, ci sono altri luoghi che meriterebbero altrettanta attenzione e, tra questi, uno in particolare è un non-luogo di cui tutti abbiamo avuto modo di fare esperienza.

Essere soli con i propri pensieri è riposante quanto dormire, tanto nutriente quanto mangiare.

Jonathan Rauch

Le parole del giornalista Jonathan Rauch ci portano subito nel pieno della riflessione: essere soli, lo spazio per noi stessi, cosa che tutti abbiamo affrontato durante le limitazioni a cui siamo stati sottoposti. La generale tendenza per occupare il tempo trascorso a casa è stata quella di impegnarlo il più possibile, con ricette, fai da te e ginnastica in streaming. Mantenersi in costante movimento, non fermarsi un attimo, perché chi si ferma è perduto. L’ozio non è più il riposo dal lavoro dei latini ma è la colpevolezza del nullafacente ed essere costretti ad affrontarlo può mettere a disagio. Prenderci il nostro spazio ci dà l’occasione per riflettere, è una sorta di checkpoint, un punto di controllo di dove siamo. È proprio questa riflessione, dover affrontare la propria persona, che può spaventare non essendovi abituati. Da non fraintendere: lo spazio per noi stessi non significa per forza pensare a una sorta di crisi esistenziale (non che questa sia una cosa da stigmatizzare).

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Lo spazio per noi stessi ci permette di dedicarci alle nostre passioni, riprendere attività che abbiamo accantonato, approfondirne o scoprirne di nuove. Significa ritrovare il tempo per noi, per ciò che ci fa stare bene. Lo spazio per il silenzio, per un respiro profondo, accantonando anche solo un momento le preoccupazioni che portiamo sempre in testa, senza rimuoverle ma mettendole in pausa. Giusto il tempo per riportare alla mente ciò che abbiamo dimenticato, che non siamo più abituati a notare. Quel libro che volevamo leggere da tempo, una chiamata a un amico che non abbiamo più visto. Impariamo a inserire nello scorrere delle cose anche le nostre pause. Dopotutto anche la musica non è fatta di sole note, anche i dipinti giocano con gli spazi vuoti, i libri con le pagine bianche tra un capitolo e l’altro.

Chiudere gli occhi e creare un vuoto. Foto di ilfumattiapasotti.

Questo, dunque, è il non-luogo che dobbiamo impegnarci a non dimenticare, ora che siamo tornati a una sorta di normalità, nuovamente vincolati alla nostra routine. Anziché ripensare ai mesi trascorsi in quarantena come a una costrizione subita, un’esperienza da rimuovere, impegniamoci a darle un valore che vada oltre il solo fine sanitario. Impariamo a gestire al meglio il nostro tempo, a comprendere quando siamo oberati dagli impegni e quando è il momento di staccare un po’ la spina, dedicandoci a noi e a ciò che ci fa stare bene, alle passioni e alle persone a noi care. Un tempo per riflettere o anche per cancellare per un momento tutto ciò che ci circonda. Chiudere gli occhi e creare un vuoto, da non intendere come una mancanza ma come una potenzialità. Notare il silenzio, percepire il nostro corpo. La nostra mente, noi stessi. E respirare.

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Immagine di copertina di cottonbro da Pexels.

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Antropologo nipponista. Fotografo mancato. Docente a tempo perso. Affascinato da ogni forma di alterità, offro il mio piccolo contributo per portare lo “studio dell’uomo” sullo schermo di tutti.

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