“Vibes” positive e non: le emozioni vanno vissute tutte

«Le emozioni esistono per essere vissute, tutte. Non esistono emozioni giuste ed emozioni sbagliate». Un’intervista a Giulia Rapisarda, psicologa

Sempre più spesso sui social mi imbatto in dei reels in cui le persone parlano delle loro “vibes”– depressione, ansia sociale o qualsiasi altro disagio emotivo – utilizzando l’ironia, il sarcasmo e una buona dose di indifferenza, quasi a dire che sono talmente presenti, pressanti e concreti nelle loro vite da averci fatto il callo, da risultare familiari.

Ci sono anche contenuti tendenti all’ipersessualizzazione del corpo e contenuti in cui il proprio aspetto viene modificato da dei filtri.

woman in white sleeveless shirt with blue eyes

Si aggiungono anche persone che inneggiano alle “good vibes”, letteralmente vibrazioni positive, a tutti i costi, relegando in un arido spazio di terra abbandonato tutte quelle persone che invece, nelle good vibes, non ci sguazzano neanche per sogno. 

L’American Academy of Facial Plastic and Reconstructive Surgery rende noto che in alcune persone, il costante uso di filtri, aumenterebbe in maniera patologica i disturbi da dismorfismo corporeo. In poche parole dei difetti grandi come granelli di sabbia diventano montagne insormontabili che ci separano dalla tanto agognata ammirazione degli altri.

Non è infatti scandaloso che questo abbia portato all’aumento del ricorso alla chirurgia plastica. Ho chiesto allora a Giulia Rapisarda, psicologa, di parlarne insieme e fare luce sulla questione.

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Ciao Giulia, cosa si può dire di questa società odierna facendo riferimento allo spaccato psicologico? È presente una certa ostentazione dei sentimenti estremi sia positivi che negativi?

La situazione negli ultimi anni, soprattutto a partire dal periodo pandemico, è sicuramente peggiorata ed esasperata. Partiamo comunque da una base importante: la nostra società dalla nascita dei social network è completamente cambiata.

L’ostentazione di tutto, sia nel positivo che nel negativo, è diventata il nostro pane quotidiano. La nostra vita è stata completamente rivoluzionata dai mi piace, dall’apparenza, dall’essere accettati e messi sotto una luce importante a tutti i costi.

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Questo vale anche per gli stati d’animo: se sono felice devo dimostrarlo perché il mondo deve sapere che sto bene, deve anche (volendo) provare una sorta di invidia nei miei confronti o sapere che la mia vita è bella e agiata.

Se sono triste o arrabbiato devo dimostrarlo perché ho bisogno di quel conforto, anche distante, anche virtuale, perché c’è comunque qualcosa che mi manca e devo colmare.

E attenzione, quest’ultima frase vale anche quando condivido il buono. La ricerca di attenzioni è una costante della nostra società. E questo non è causato soltanto dalla nascita dei nuovi social network ma  ahimè, anche dalla realtà familiare.

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Qual è il disagio emotivo che prevale di più?

Ansia e depressione senza dubbio. Sono le patologie del secolo. Dalle manifestazioni più lievi a quelle più gravi, c’è una enorme fetta della popolazione che vive questo tipo di disagio. Spesso infatti anche le manifestazioni sintomatologiche di tipo fisico sono legate ad un disagio psicologico e si tratta, dunque, di sintomi psicosomatici.

È molto comune il senso di insoddisfazione: perché è così diffuso da farlo diventare quasi di moda sui social in chiave ironica?
E quando esternare online il proprio malessere smette di essere una strategia per esorcizzarlo e diventa un omologarsi alla massa? Può essere anche un modo per connettersi alle altre persone e trovare i propri simili in un mondo fatto apparentemente di vuoto e solitudine?

Assolutamente sì, purtroppo le mode a volte sono insensate e talvolta anche pericolose.  Partiamo dal dire che, come detto in precedenza, c’è un forte senso di disagio generale in particolar modo nei giovani, che condividono il proprio stato d’animo cercando approvazione e vicinanza tra i loro pari.

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Come ho potuto constatare, sia dalla mia esperienza professionale, sia da ciò che vedo e leggo sui principali social network (in particolare Tiktok), quella odierna è diventata una realtà molto più difficile per gli adolescenti. Si sa che l’età adolescenziale è di per sé complessa in quanto importante fase di cambiamento a 360°, ma ultimamente si stanno sommando problemi non indifferenti.

Quali sono questi problemi che si aggiungono?

A partire dalla famiglia – si nota quanto sia più facilmente sgretolabile rispetto ad una trentina di anni fa, i divorzi sono aumentati drasticamente ed i figli sono molto più spesso lasciati più liberi del dovuto.

Questo incide tantissimo sul benessere di questi ragazzi. Vivere all’interno di un ambiente familiare stressante e percepire la distanza dei genitori provoca nei bambini e adolescenti un forte senso di abbandono, solitudine e disagio che li spinge a cercare altrove quel senso di appartenenza, comprensione ed affetto.

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E cosa c’è di meglio di una realtà stracolma di gente perlopiù della tua età, per trovare qualcuno simile a te? Ho notato con gran rammarico una fortissima presenza di ragazzi su Tiktok che scrivono di invidiare immagini di famiglie normalissime, e ciò fa tanto riflettere.

Ma oltre alle problematiche famigliari ce ne sono di altre.

Sì, infatti vi sono anche problematiche relative alla realtà scolastica, soprattutto quella di questo periodo di pandemia, che è stata distrutta e ricostruita senza però prendere in considerazione ciò che hanno e stanno vivendo questi ragazzi.

Ovvero ulteriore senso di solitudine, privazione delle più banali libertà e stress scolastico elevato che, purtroppo come ho potuto constatare dalla mia esperienza con adolescenti in DAD, spesso non vengono per niente compresi dagli insegnanti che cercano freneticamente di completare il loro lavoro senza prendere in considerazione la sofferenza e le difficoltà che i ragazzi stanno vivendo.

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In quanto all’omologarsi alla massa aggiungerei, se posso, che a mio avviso il voler esternare e a volte esagerare fino ad ironizzare il proprio senso di disagio, non proviene mai solo da una banale voglia di seguire una semplice moda, ma da appunto un reale malessere di base (qualunque esso sia, ed i giovani ne vivono davvero tantissimi).

Da qui la ricerca, spesso disperata, di attenzioni di ogni genere, di un modo, qualunque esso sia, di colmare piccoli o grandi vuoti che nelle realtà adolescenziali sono sempre più presenti e disperati.

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E cosa mi dici, invece, dell’ossessione per le good vibes?

Le good vibes, ovvero le vibrazioni positive, nascono come la ricerca nella vita di qualcosa di bello di positivo, di qualcosa che fa bene all’anima. Tutti noi abbiamo bisogno di “good vibes”, di allontanare le persone e le cose tossiche che non fanno altro che danneggiare la nostra salute psicofisica.

C’è da dire che, come l’ostentazione degli stati d’animo, è anche questa sfociata a mio avviso in una moda. Le mode oggi come ieri servono per farci sentire parte integrante di un gruppo, per trovare simpatia ed accettazione da un gruppo di simili. Fin quando si tratta della ricerca sana di positività e bellezza, ben vengano questo genere di mode, però come tutto ciò che è troppo a volte si sfocia nell’esagerazione. Come hai appunto detto nell’ossessione. 

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Ben vengano le good vibes ma che si sappia che nella vita esistono sia le good che le bad vibes e che bisogna imparare a vivere e convivere sia con le une che con le altre. Non esiste un mondo al 100% arcobaleno, esistono le sfumature di grigi e bisogna imparare ad accettarle.

Che impatto hanno i social sulle relazioni e sull’emotività? E durante la pandemia che ruolo hanno svolto?

Purtroppo e per fortuna i social network sono stati, durante la pandemia, il nostro pane quotidiano. Non potendo uscire e vedere persone reali, abbiamo aumentato esponenzialmente il nostro rapporto con i social network. Ci hanno riavvicinati, sono stati, concretamente, l’unica soluzione per socializzare.

La socializzazione per l’uomo è parte fondamentale della sua esistenza – l’uomo è un animale sociale, ed isolarlo non fa che creare un grosso malessere psicologico. Basti pensare alla quantità di depressioni nate durante il lockdown di marzo 2020.

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Ci siamo confrontati, ci siamo sentiti soli insieme, abbiamo provato ad accorciare le distanze, abbiamo condiviso il nostro disagio con una società che, per la primissima volta, si trovava in un modo o nell’altro tutta nella stessa barca… Ci abbiamo provato così tanto che, in alcuni casi purtroppo, sta diventando difficile tornare alla realtà di prima.

Che funzione ha l’educazione emotiva sulla vita delle persone? Un’azione mirata aiuterebbe a ridurre questo fenomeno di dilagante depressione sociale?

A mio avviso ha davvero un ruolo imprescindibile. Le nostre stesse emozioni spesso e volentieri non vengono comprese, o peggio vengono rinnegate. Le emozioni esistono per essere vissute, tutte. Non esistono emozioni giuste ed emozioni sbagliate. Il trucco è solo imparare a comprenderle, saperle gestire, e viverle per ciò che sono.

Ognuno di noi ha il sacrosanto diritto di essere felice ed il sacrosanto diritto di essere triste o arrabbiato. Purtroppo le emozioni cosiddette negative vengono spesso allontanate e represse e ciò non fa altro che causarne un progressivo aumento. D’altronde proprio le emozioni negative nascono come adattive.

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Sui social si parla di trend, cioè cose che vanno di moda. Un trend molto interessante è quello che mira alla body positivity. Quanto sono importanti i social sulla percezione di sé? Il momento in cui si usano app per modificare il proprio aspetto per avere più sicurezza di sé e poi ci si scontra con la realtà è destabilizzante, si può fare qualcosa perché questa non venga distorta?

I social sono apparenza. Se non sei socialmente accettabile vieni preso di mira, e purtroppo la società ha definito come accettabile una determinata forma fisica tanto negli uomini quanto nelle donne.

Ma attenzione, questo non nasce mica con i social! Da sempre e per sempre esisteranno esempi fisici da seguire a tutti i costi. Prima dei social questo ruolo lo aveva principalmente la televisione, che con le figure delle soubrette o delle veline ha da sempre presentato un prototipo da imitare a tutti i costi.


Leggi anche: Body positive: quando la rivoluzione è amare se stessi


Non c’è da meravigliarsi quando ragazze e ragazzi arrivano a manifestare DCA (disturbi del comportamento alimentare, ndr) a causa del voler a tutti i costi apparire adatti alla società.

Con i trend riguardanti il body positive si sta quantomeno provando a normalizzare ogni tipo di corpo, che nella stragrande maggioranza dei casi non corrisponde a quello che vediamo online o in tv, che nel 99% dei casi è ritoccato e modificato.

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Ma da soli i trend sulla body positivity non bastano.

Diciamo che è un importante punto di partenza ma siamo purtroppo lontani da questo obiettivo poiché nonostante i grossi sforzi ed il coraggio di queste ragazze e ragazzi che si mostrano realmente come sono, con le loro normalissime imperfezioni, si nota come purtroppo non si è mai pronti a questo genere di accettazione.

La cellulite, la pancetta, i peli, le smagliature e tutto il resto stanno continuando a causare body shaming, e la vergogna e la paura che ognuno di noi possa incorrere in simili e dolorosi episodi ci spinge, chi più chi meno, a mostrare solo la parte migliore di noi…e perché no con l’aiuto di filtri e modifiche varie.

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Siamo però ad un importante punto di partenza, ed anche se il cambiamento parte da una piccola percentuale di persone, sarà quella che porterà avanti questo coraggioso ed importantissimo obiettivo, e la società ne ha bisogno.

Anche in questo caso l’educazione a questo genere di tematiche è a mio avviso fondamentale, soprattutto tra i più giovani che sono anche i più fragili ed influenzabili.

(Immagine di copertina: Unsplash.com)

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Sono una persona semplice, vado dove mi porta l'istinto. Credo nel sarcasmo e nell'ironia, ma anche nella bellezza della luce filtrata da una serranda, nel tramonto in riva al mare, nella risata che ti toglie il fiato. Credo in un mondo che ci fa sentire scardinati e perennemente in bilico, ma ogni tanto, se abbiamo fortuna, possiamo sentirci nel posto giusto al momento giusto. Della vita ho capito solo una cosa: che non ho capito niente.

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